Ritorno a scuola |
Era una mattinata d'inizio autunno, particolare come soltanto Milano poteva inventarla. Il sole si era nascosto dietro una soffusa nebbiosità che scoloriva il cielo in una vaga tonalità grigia, uniforme ma senza nuvole. Solamente un disco biancastro, privo di calore, testimoniava la sua presenza. Ogni cosa, dai tetti delle case, ai muri, alle strade, ai platani della circonvallazione, sembrava aver abbandonato i colori estivi per uniformarsi ad un abito più austero, adatto alla nuova stagione. Sebbene la grande afa dell'estate fosse ormai lontana, restava ancora nell'aria un'indefinita sensazione d'umidità, mitigata dalla temperatura più fresca e dalla lieve brezza che sfiorava le braccia ancora nude, rammentandoti la prossima esigenza di un abbigliamento più adeguato.
Era questa la stagione in
cui più facilmente potevi imbatterti nell'intenso aroma del caffè tostato,
sparso nell'aria da qualche torrefazione vicina. Ti si avvolgeva intorno
all'improvviso, senza lasciare scampo. Il suo profumo, acre e sensuale,
perforava le narici, costringendo il cervello a non pensare altro che a
lui. Iniziava così il primo giorno di scuola dopo le vacanze estive. Era la prima mattina in cui tuo padre riprendeva il solito tedioso richiamo: "Alzati che è tardi...forza!". Ti eri quasi dimenticato di quell'esortazione apparentemente così distratta, ma tanto perentoria nella sostanza: voleva dirti che da quel momento la tua giornata si sarebbe svolta obbedendo a nuovi ordini, rinnovati impegni, ed usate liturgie. Solo adesso ti accorgevi che le vacanze erano davvero finite, che quella breve tregua di consapevole anarchia, di sonni faticosamente trascinati fino a metà mattina nel caldo appiccicoso delle lenzuola, era stata spazzata via da quel segnale. Ti sentivi solo, sorpreso, ingannato da quell'improvviso, e temuto, accelerare del tempo; ancora una volta non avresti immaginato che un semplice richiamo avesse la capacità di cambiare all'improvviso le tue abitudini. Eppure a quel risveglio ti eri preparato per tutta la notte, alternando il sonno ad improvvise veglie, dense di ricordi estivi, di volti di compagni di scuola, di esami insostenibili, di stagioni che vedrai scorrere al di fuori dei vetri della scuola.
Che cosa porterai con te
quella mattina? La fretta di esibire una nuova maturità, nell'ingenua
convinzione che tre mesi di vacanza possano essere stati sufficienti a
farti crescere. Poi quando rincontrerai i tuoi compagni, ti renderai conto
che i mesi trascorsi non hanno cambiato nulla e ritroverai nei loro occhi
e nei loro sguardi sempre lo stesso posto che ti era gia stato assegnato.
Il bagno è finalmente libero, tutto per te; osservi allo specchio il tuo corpo evolversi lentamente verso quella virilità formale, illusoria esteriorità del tuo progredire verso la condizione adulta. La barba, che fino a poco tempo prima era solo una soffice e rada peluria, ora si sta espandendo, colonizzando nuove parti del tuo viso. Anche dal petto iniziano a germogliare i primi sparuti peli.
Quella mattina la colazione
è stata rapida e frugale. Inutile prolungare un tempo che ormai è
irrimediabilmente finito; molto meglio affrontare il nuovo giorno senza
indugiare ed uscire in fretta da casa. Per quante volte tu abbia percorso quella strada e per quante altre ancora dovrai percorrerla, il suo paesaggio ti sembrerà ogni volta nuovo. Ogni giorno saprà offrirsi in modi differenti. Muterà coll'inseguirsi delle ore del giorno, coll'avvicendarsi delle stagioni, vedrai bruciare i muri delle case nel sole di giugno, vedrai il naviglio fumare vapori di ghiaccio nel gelo dell'inverno. Si dissolverà ogni cosa nella nebbia profumata e silenziosa, dove i fari delle auto si perdono in fasci di luce cauti e dubbiosi. Proverai la gioiosa intimità della pioggia le cui gocce, rimbalzando sul marciapiede, t'invitano ad entrare in te stesso. Si adeguerà al mutare dei tuoi stati d'animo; sarà gioioso, riflessivo, determinato, triste, rabbioso, perplesso, deluso, apatico, ironico. Obbedirà solo allo sguardo dei tuoi occhi.
Svolti a sinistra, in viale
Liguria, finalmente sulla circonvallazione. Il rumore del traffico si è
fatto più intenso; l'abitudine ti fa udire un unico monotono suono, ma se
avrai ancora la pazienza di farlo, potrai distinguere il rombo dei motori,
il vibrare dei clakson, il brontolio delle marmitte, i sibili dei freni,
lo stridio dei pneumatici. Un filobus ti sfila accanto, sui suoi
finestrini sono stampati sguardi che non vedono nulla. Riconosci i vecchi compagni, loro riconoscono te. E poi sono racconti frettolosi, interrotti, poi ripresi, poi di nuovo interrotti; ognuno deve narrare la propria storia, in fretta. Le voci si alzano, si attenuano, tacciono, riprendono. I volti si scambiano sorrisi, ammiccamenti, ironia, incredulità, noia.
Poi, all'improvviso, la
colorata fiumana inizia a muoversi, valica il cancello ora dischiuso,
dilaga nel cortile interno della scuola; ancora una sosta, poi riparte, si
stringe, rallenta fin quasi a fermarsi, compressa nell'angusto passaggio
delle scale che conducono all'interno dell'edificio.
|