Gli esami di riparazione |
Spesi gli ultimi giorni di
scuola nell'ozio più totale, respirando l'aria di smobilitazione che
coinvolgeva tutti: dagli studenti ai professori. Disertai così, senza
quasi rendermene conto, l’ultima lezione che la professoressa di
matematica dedicò al salvataggio di tutti quelli che, come me, non avevano
ancora raggiunto la sufficienza.
Salii i gradini
dell'ingresso, quello riservato ai professori, quasi con allegria,
autoconvintomi lungo il tragitto, che quel miracolo avrebbe di certo
dovuto compiersi. Incrociai a metà salita un mio compagno di classe: " io,
sono stato promosso!". "E di me sai qualcosa?". "mi sembra che tu sia
stato rimandato”.
Ma il sole di metà Giugno,
che con le sue prime calure diffondeva la musica di Satisfaction, mi disse
che le vacanze erano iniziate ed anch'io, nonostante tutto avrei dovuto
goderne.
Nella stanza accanto alla
mia alloggiavano un ragazzo ed una ragazza olandesi, miei coetanei,
arrivati in quel paese sperduto della pianura friulana non si sa per quale
incomprensibile congiuntura. Familiarizzai presto con il vento fresco che
muovevano intorno a loro e che sapeva di libertà, di voglia di vivere, di
vecchi schemi buttati alle spalle. Era la stessa aria nella quale anch'io
annaspavo, ancora troppo debole perchè riuscisse a farmi volare. Ma su
tutto incombeva quell’orizzonte grigio, denso d’incertezze che a sole due
settimane di distanza, avanzava inesorabile verso di me. Il giorno dopo sarebbero iniziate le ripetizioni: due ore nella calura pomeridiana presso un insegnante esperto, raccomandato da molti per le sue capacità. Il filobus che mi portava alla sua abitazione era a quell'ora semivuoto. Rovente era il pavimento, roventi le pareti, roventi i sedili, rovente l'aria che entrava dai finestrini aperti, con le tendine che svolazzavano al di fuori. La gomma, la vinilpelle, il grasso surriscaldato delle parti meccaniche, si fondevano con l'impercettibile odore agliaceo della corrente che animava i motori, formando un odore unico, armonioso ed inconfondibile. Nella cabina di guida, un cappello con la visiera muoveva con ampi gesti delle braccia uno smisurato volante. Lo studio del professore era a poche decine di passi dalla fermata del filobus: un locale pieno di libri, di disordine, di odore di cucina. Nell'angolo, un bandierone dell'Inter, malamente arrotolato, indicava col puntale della sua asta la truce mascella di un ritratto di Mussolini. Sulla parete opposta un grosso ventilatore distribuiva con equità le molecole d’aria calda su tutti gli oggetti presenti nella stanza. Lui, il professore pazzo, riceveva in canottiera e pantaloni corti; era lungo, allampanato, col viso sudaticcio sotto un cranio totalmente calvo e l'espressione stralunata di un anziano rimasto adolescente.
Pur col suo fare scorbutico,
usava il gergo e le scurrilità di noi giovani, rendendo ancora più
efficace la sua indubbia capacità divulgativa. In poche lezioni tutti i
misteri della matematica, che si erano moltiplicati durante il corso
dell'anno, vennero ad uno ad uno risolti e ricondotti ad una sconvolgente
semplicità. L'ingranaggio inceppato riprese finalmente a girare. Continuai
le ripetizioni fino al giorno immediatamente precedente la prova scritta.
L'aula semivuota aveva
ancora l'aria assopita dei giorni di vacanza, ma era soltanto una veglia
temporanea, dopo la quale il sonno avrebbe ripreso il sopravvento fino
all’imminente definitivo risveglio. In essa rimbalzavano muti i cenni di
saluto ed i sorrisi vacui dei pochi studenti diradati tra i banchi. Tutti
attendevano la consegna della prova d'esame.
Finalmente il mio sapere era
giunto al termine del travaglio, partorendo un piccolo numero, spaurito,
disarmante, del tutto inadeguato all'impegno profuso nel generarlo, eppure
così ferreo nella sua logica, così rassicurante nella sua semplicità.
Poi, l'orale, lo stesso
vestito, lo stesso disagio, la stessa afa, ma lo stesso risultato.
Percorsi la via di casa con
passo veloce, smanioso di spremere fino all'osso gli ultimi scampoli della
vacanza estiva, finalmente libero da ogni impegno. Diedi la notizia ai
genitori, i quali la accolsero con una calma più simile all'indifferenza
che all'entusiasmo. Mi piacque illudermi che quell'atteggiamento potesse
essere determinato da una sicura certezza. |