Gli esami di riparazione

Spesi gli ultimi giorni di scuola nell'ozio più totale, respirando l'aria di smobilitazione che coinvolgeva tutti: dagli studenti ai professori. Disertai così, senza quasi rendermene conto, l’ultima lezione che la professoressa di matematica dedicò al salvataggio di tutti quelli che, come me, non avevano ancora raggiunto la sufficienza.
Nonostante la caustica consapevolezza dell'occasione buttata via, mi recai a scuola, il giorno della pubblicazione degli scrutini, animato dall’ingenua illusione che il destino avrebbe potuto riservarmi una sorta di benevolo quanto ingiustificato regalo.

Salii i gradini dell'ingresso, quello riservato ai professori, quasi con allegria, autoconvintomi lungo il tragitto, che quel miracolo avrebbe di certo dovuto compiersi. Incrociai a metà salita un mio compagno di classe: " io, sono stato promosso!". "E di me sai qualcosa?". "mi sembra che tu sia stato rimandato”.
Il tabellone degli scrutini, solennemente alto sul muro dell'atrio, mi sputò addosso il veleno di quella realtà così scrupolosamente elusa, confermandomi la sentenza appena anticipata.
Il passo che mi riaccompagnò a casa fu molto più lento del solito; mi camminava a fianco il rimorso per l'irragionevole leggerezza; mi precedeva l'imbarazzo di dover rendere conto ai genitori di un fallimento così facilmente evitabile.

Ma il sole di metà Giugno, che con le sue prime calure diffondeva la musica di Satisfaction, mi disse che le vacanze erano iniziate ed anch'io, nonostante tutto avrei dovuto goderne.
Quell'anno le ferie terminarono per tutta la famiglia con un ritorno anticipato il giorno di ferragosto. Rientravo con la strana sensazione di aver lasciato una parte di me stesso ancora in vacanza: sul terrazzo di casa della cugina, dove la sera si faceva festa ascoltando i quarantacinque giri suonati dalla valigetta Lesa. Mi rivedevo ancora una volta nella stanza della vecchia locanda del paese, quando, terminato il pranzo, mi tuffavo nella penombra pomeridiana che sapeva di muffa e di silenzio, contendendo al sonno solo pochi minuti, prima che il capo si abbassasse, spento, sulle pagine dei libri.

Nella stanza accanto alla mia alloggiavano un ragazzo ed una ragazza olandesi, miei coetanei, arrivati in quel paese sperduto della pianura friulana non si sa per quale incomprensibile congiuntura. Familiarizzai presto con il vento fresco che muovevano intorno a loro e che sapeva di libertà, di voglia di vivere, di vecchi schemi buttati alle spalle. Era la stessa aria nella quale anch'io annaspavo, ancora troppo debole perchè riuscisse a farmi volare. Ma su tutto incombeva quell’orizzonte grigio, denso d’incertezze che a sole due settimane di distanza, avanzava inesorabile verso di me.
La mia stanza milanese mi accolse con tutti i suoi mobili, i suoi profumi, i miei libri, e le mie cose, fedele complice del mio modo di esistere. Un'unica grande finestra scrutava dall’alto in basso i cortili delle vecchie case. Tutto intorno, la città ancora semideserta, esibiva facciate di edifici dormienti dietro le palpebre abbassate d’innumerevoli tapparelle.

Il giorno dopo sarebbero iniziate le ripetizioni: due ore nella calura pomeridiana presso un insegnante esperto, raccomandato da molti per le sue capacità. Il filobus che mi portava alla sua abitazione era a quell'ora semivuoto. Rovente era il pavimento, roventi le pareti, roventi i sedili, rovente l'aria che entrava dai finestrini aperti, con le tendine che svolazzavano al di fuori. La gomma, la vinilpelle, il grasso surriscaldato delle parti meccaniche, si fondevano con l'impercettibile odore agliaceo della corrente che animava i motori, formando un odore unico, armonioso ed inconfondibile. Nella cabina di guida, un cappello con la visiera muoveva con ampi gesti delle braccia uno smisurato volante.

Lo studio del professore era a poche decine di passi dalla fermata del filobus: un locale pieno di libri, di disordine, di odore di cucina. Nell'angolo, un bandierone dell'Inter, malamente arrotolato, indicava col puntale della sua asta la truce mascella di un ritratto di Mussolini. Sulla parete opposta un grosso ventilatore distribuiva con equità le molecole d’aria calda su tutti gli oggetti presenti nella stanza. Lui, il professore pazzo, riceveva in canottiera e pantaloni corti; era lungo, allampanato, col viso sudaticcio sotto un cranio totalmente calvo e l'espressione stralunata di un anziano rimasto adolescente.

Pur col suo fare scorbutico, usava il gergo e le scurrilità di noi giovani, rendendo ancora più efficace la sua indubbia capacità divulgativa. In poche lezioni tutti i misteri della matematica, che si erano moltiplicati durante il corso dell'anno, vennero ad uno ad uno risolti e ricondotti ad una sconvolgente semplicità. L'ingranaggio inceppato riprese finalmente a girare. Continuai le ripetizioni fino al giorno immediatamente precedente la prova scritta.
Uscii da casa il mattino presto, dopo una notte agitata ed un risveglio precoce. Mia madre mi aveva preparato sulla sedia tutto l'abbigliamento adatto per l'occasione: camicia, cravatta, mocassini neri, ed un abito "fresco" di lana e Terital, tanto leggero, quanto ruvido sulla pelle. Complice la giornata ancora afosa, quel tessuto ostile, mi restò per tutto il tempo appiccicato alle gambe sudaticce, ricordandomi in ogni momento la sua disagevole presenza.

L'aula semivuota aveva ancora l'aria assopita dei giorni di vacanza, ma era soltanto una veglia temporanea, dopo la quale il sonno avrebbe ripreso il sopravvento fino all’imminente definitivo risveglio. In essa rimbalzavano muti i cenni di saluto ed i sorrisi vacui dei pochi studenti diradati tra i banchi. Tutti attendevano la consegna della prova d'esame.
Mi resi conto ad una sua prima sommaria lettura, che il nemico da affrontare non era poi così temibile; si sarebbe trattato semplicemente di controllare la smania di concludere in fretta, procedendo piuttosto con calma per evitare errori. Il salvataggio dell'anno di scuola stava diventando una concreta possibilità.
Nel silenzio calato come una nebbia, risuonavano solamente i passi del professore che percorreva su e giù le file dei banchi, per accasciarsi poi, distrutto dal sudore e dalla noia, sulla poltroncina a lui riservata. Sul piano di formica della cattedra, il Corriere della Sera spalancava le sue pagine più intime proponendo allo sconosciuto lettore un surreale amplesso cognitivo. Poi, ancora passi, ancora pagine sfogliate, mentre il tempo si mummificava nell'afa del mezzogiorno.

Finalmente il mio sapere era giunto al termine del travaglio, partorendo un piccolo numero, spaurito, disarmante, del tutto inadeguato all'impegno profuso nel generarlo, eppure così ferreo nella sua logica, così rassicurante nella sua semplicità.
Terminata la prova, consegnati i compiti, quello stesso numero corre allegro tra le voci eccitate degli studenti che indugiano ancora nell'atrio. Sempre lui, sempre lo stesso. Gli altri risultati sono troppo diversi, troppo bislacchi per essere credibili. I volti che li propongono hanno lo sguardo inebetito di chi non riesce ancora a capire quale sia stato l’errore, ma non c’è più appello.

Poi, l'orale, lo stesso vestito, lo stesso disagio, la stessa afa, ma lo stesso risultato.
Mi ritrovai dopo pochi giorni a risalire le solite scale d’ingresso alla scuola, finalmente in maglietta e calzoni di tela, ma non trovai nessuno che mi anticipò i risultati; me lo disse direttamente il tabellone esposto nell'atrio: promosso! Trovai anche il tempo per un'ipocrita commiserazione verso i pochi respinti, la cui sventura portava ancor più lustro al mio magro successo.

Percorsi la via di casa con passo veloce, smanioso di spremere fino all'osso gli ultimi scampoli della vacanza estiva, finalmente libero da ogni impegno. Diedi la notizia ai genitori, i quali la accolsero con una calma più simile all'indifferenza che all'entusiasmo. Mi piacque illudermi che quell'atteggiamento potesse essere determinato da una sicura certezza.
Ora finalmente il pensiero poteva correre libero verso i rimpianti di una vacanza passata troppo velocemente, a quella coppia di olandesi, ai fianchi delle ragazze che ondeggiavano ritmici tra le braccia dei loro giovani cavalieri durante i balli sotto le stelle e sopra il terrazzo di mia cugina. Ma ora da lontano si faceva avanti un nuovo suono, possente come una carica di bisonti; era l'entusiasmo di ricominciare, di rioccupare il mio posto, nel profumo dei libri di scuola freschi di stampa.

Rinaldo
(12.09.2007)