IL VOLO DELLA CICOGNA

La cicogna aveva spiccato il volo; dopo una breve rincorsa, aveva disteso le ali al vento che dal mare risaliva lungo la scogliera. Galleggiando nell'aria tiepida, si era spinta in alto per osservare l'ultima volta il pianoro verde strapiombante sulla breve spiaggia, poi, con un'improvvisa virata, rivolse il capo verso l'oceano e si allontanò silenziosa. Le zampe, strette sotto il ventre, si allungavano all'indietro, mentre il capo, proteso in avanti, formava un'unica linea retta con il collo e la coda. Nessun altro dei suoi simili l'aveva seguita: troppo in anticipo sulla stagione e troppo sconosciuta quella rotta. Le grandi ali oscillavano lente e sicure, indifferenti sopra le onde. Il bianco uccello volava lontano verso l'ignoto, mentre, alle sue spalle, l'ampio sorriso delle falesie si spegneva dietro la linea dell'orizzonte. Sotto di lui l'acqua rispondeva con riflessi d'argento alle carezze del sole, nel gioco che li avrebbe portati a congiungersi nel tramonto.

Arrivò la notte, e fu la luce estranea della luna ad illuminare quelle ali, sconosciute alla fatica. Attraversò altre albe ed altre lune, fino al giorno in cui il sole mancò all'appuntamento del mattino; al suo posto gravava un cielo livido di nuvole, dense e globose. Irruppe tra esse il vento, volubile e violento che prese a sfilacciarle, scomponendole e ricomponendole, in continui nuovi disegni, sempre più grigi, sempre più cupi. Scese la tempesta. Ondate di pioggia si abbatterono su quel corpo di piume, sballottandolo qua e la nell'aria gelata. Eppure quelle ali continuarono a lottare, talmente possenti da rendere inoffensiva anche la tempesta. Dalla cortina di nebbia, fattasi ora più trasparente, un pallido sole salutò il gran viaggiatore, promettendogli a breve il suo caldo ristoro. Fu proprio quel sole amico ad indicargli una tenue linea scura, appena sopra l'orizzonte: la nuova terra si stava avvicinando. Ora l'uccello bianco sorvolava ampie praterie e sconosciute foreste d'alberi, ma quelle ali, finora tanto instancabili, avevano ormai esaurito la loro energia: l'ampia e regolare oscillazione si era trasformata in uno sconclusionato battito, breve e spesso interrotto. Il volo, da sicuro e veloce, era divenuto uno svolazzare incerto fatto di picchiate improvvise, brevi e faticose risalite, stroncate da nuove picchiate, sempre più lunghe, sempre più basse, fino all'ultima, silenziosa e senza risalita. Fu il prezzo che pagò per suo viaggio più bello.

L'otto maggio del millenovecentoventisette, all'aeroporto di Le Bourget tutto era pronto per il decollo dell'Oiseau Blanc, un grosso biplano Levasseur PL8, ritenuto il più adatto all'impresa. Si era finalmente giunti a quel giorno dopo un lungo periodo di modifiche, d’interventi strutturali e di collaudi: il motore poteva ora erogare fino a quattrocentocinquanta cavalli, mentre la fusoliera era stata allungata tra il motore e la carlinga per inserirvi un serbatoio capace di almeno quaranta ore d’autonomia. Particolare cura era stata riservata nella scelta dei piloti, potendo disporre dei migliori elementi della ancor giovane aeronautica militare. L'oiseau Blanc era stato affidato alle mani esperte degli ufficiali Francois Coli e Charles Nungesser, assi della grande guerra, già insigniti della Legion d'Onore.

La mattina di quell'otto Maggio il tempo si era messo al brutto; una diffusa nebbiosità gravava sull'aeroporto, facendo presagire l'imminenza della pioggia, ma ciò non scoraggiò i due uomini i quali, incuranti delle condizioni meteo, iniziarono le procedure per il decollo. L'esperienza di ben altri e più gravi rischi corsi nella loro carriera li rendeva freddi e deliberati. Alle cinque e diciassette, dopo circa mezzo miglio di rincorsa, le ruote dell'Oiseau Blanc abbandonarono per sempre il suolo di Francia. Pochi istanti più tardi, la nebbia si richiuse sul velivolo, lasciando negli orecchi dei presenti soltanto il rombo che si allontanava. L'aereo risalì la costa da Parigi fino alla Normandia, poi, sopra i tetti di Etretat, virò decisamente verso ovest, tenendo alle spalle la muraglia grigiastra delle falesie.

Dopo circa cinque ore, il rombo del motore riecheggiò sulle estreme propaggini dell'Irlanda, ormai lanciato verso l'Atlantico. Il tempo era divenuto ancor più ostile ed alla pioggia battente si andava aggiungendo un sottile nevischio. L'atmosfera nella carlinga di pilotaggio era ad ogni modo animata da una serena e responsabile euforia: il compito da svolgere era impegnativo e rischioso, sulle loro spalle gravavano le ambizioni di una grande nazione vittoriosa, decisa a rinnovare la gloria di Bleriot, nel portare a compimento un'impresa clamorosa, adatta ai tempi e mai tentata prima. New York non era poi tanto lontana. Nella cabina i due uomini si scambiavano pochi commenti, lasciando i loro occhi liberi di muoversi tra il pannello strumenti ed i rivoli d'acqua che scivolavano veloci sui vetri della carlinga. Intorno solo nebbia ed il rombo possente e regolare del dodici cilindri Lorrain.

Il giorno successivo, nonostante la scarsa visibilità ed il perdurare del maltempo, furono avvistati al largo di Terranova, già quindi nei cieli del nuovo mondo. Il peggio sembrava essere alle spalle e meno di sei ore li separavano dal trionfo, sebbene anche New York fosse squassata da un clima talmente avverso da far dubitare più d'uno sulla possibilità che Noungesser e Coli riuscissero ad individuare l'aeroporto.
Col passare delle ore quei dubbi divennero perplessità e la perplessità divenne angoscia. Nessun suono di motore fu udito rompere il monotono ticchettio della pioggia. Alla fine anche i più irriducibili lasciarono l'aeroporto, mentre i cronisti ritornarono alle redazioni: l'Oiseau Blanc non sarebbe arrivato, mai più.

Curioso destino quello dei pionieri: una notte burlona ti regala un sogno, ma non è di quelli soliti che il primo sbadiglio del mattino cancella; no, questo non se ne vuole andare, si aggrappa, come una zecca dentro la tua volontà, nella quale cresce nutrendosi della tua intelligenza e dei tuoi entusiasmi. Ti segue ormai in ogni momento della tua giornata, soffocando tutto quanto non lo riguarda; lui vive in te e tu vivi per lui. Ormai chi ti sta intorno pensa che tu sia pazzo od un povero illuso, ma tu credi in quel sogno e devi realizzarlo, non importa a quale prezzo.

Quando finalmente sarà tutto concluso, o continuerai ad essere ricordato come un pazzo, oppure sarai diventato un eroe. All'ultimo, la tua memoria riposerà quieta tra le pagine di un libro di storia, mentre l'impresa che ti ha reso famoso sarà in breve a disposizione di tutti, colazione e quotidiano compresi nel prezzo.
La nebbia che gravava umida sopra i laghi e le foreste del Maine, venne all'improvviso percossa da un rumore meccanico, irregolare ed intermittente: era il motore di un aereo che andava consumando le sue ultime risorse meccaniche. Ad una serie di scoppi regolari, si alternavano momenti di silenzio, sempre più lunghi, sempre più frequenti, poi fu ancora un ultimo definitivo, breve sussulto, infine soltanto il sibilo di un corpo che cade riuscì a turbare la pace del luogo. Le fronde trattennero per se il rumore dello schianto, ma non riuscirono a fermare la colonna di fumo denso che si alzava sopra le loro chiome.

Quella colonna di fumo fu vista da pochi muti testimoni: la vide un'orsa che raccolse il suo cucciolo e corse via lontano perché quel fumo sapeva di cacciatori di pelli, la videro gli scoiattoli e fuggirono temendo che la foresta potesse prendere fuoco, la videro gli uccelli in volo e si fecero da parte per scansare quell'immenso rapace in picchiata a caccia di chissà quale preda, la vide il pellirossa, invecchiato nella riserva, e sognò che quello fosse il segno divino per la rinascita del suo popolo, la vide infine l'eremita che nulla sapeva del progresso, ma ben conosceva le sinistre apparizioni del demonio.

Il ventuno dello stesso mese, un giovanotto americano di nome Charles Lindbergh, atterrò al Le Bourget dopo un solitario incredibile balzo da New York a Parigi. Nella sua carlinga riportava a Parigi il coraggio di Coli e Nungesser.



Rinaldo
(8.05.2007)
 

L'Oiseau Blanc