IN VIAGGIO CON LA B.B.

- Rinaldo, sono la Giusy; c'è qui in reception il signor Tacchi che ti deve parlare.

- Digli di salire pure da me, come al solito.

- Rinaldo, il Signor Tacchi dice che non può salire; non deve muoversi assolutamente dalla reception.

- Giusy, ha forse una gamba rotta, oppure sta facendo il cascamorto con te? comunque digli che scendo subito.

Il Signor Tacchi era il titolare di una piccola fabbrica di tende alla veneziana. Da noi in Digital aveva assunto da tempo immemorabile l'incarico di manutenere serramenti, tende, arredi d'ufficio, controsoffitti, e di portare a buon fine l'infame incombenza dei traslochi interni.

I suoi uomini si muovevano sicuri tra scrivanie ed impiegati quasi sempre ostili, svitando, avvitando, smontando, rimontando, imballando, sballando, consigliando e sconsigliando, sempre discreti, sempre silenziosi, sempre attenti che eventuali bestemmie e turpiloquio, indispensabili utensili nella risoluzione dei problemi più ardui, non giungessero a ferire le orecchie di chicchessia.

Tra me ed il Signor Tacchi, si era instaurato un rapporto d’amichevole stima e fiducia, cementato fralaltro dalla comune passione per l'automobilismo sportivo. Ciò non escludeva la curiosa anomalia che, nonostante quest'affinità, continuassimo a darci del lei.

Io l'automobilismo sportivo lo coltivavo accademicamente solo attraverso letture illuminanti e testi sacri; lui, il Signor Tacchi, lo aveva praticato sul campo, o meglio in pista, a bordo d’automobili da competizione di vario genere, le quali sebbene non d’eccelso lignaggio, pursempre rappresentavano per me il mondo dei sogni mai realizzati. Al massimo quelle auto potevo vederle sfrecciare dalle tribune di qualche autodromo.

Da anni egli aveva, come si dice: appeso il casco al chiodo, limitandosi ora ad esprimere le sue doti di pilota a bordo dei Ford Transit della sua azienda. A dire il vero, ed in via del tutto confidenziale, mi aveva confessato di possedere un grossa Mercedes coupè, ed una Ferrari. Credibile la prima affermazione, molto meno la seconda. La Mecedes era utilizzata per raggiungere Venezia, dove possedeva una casa, destinata prevalentemente all'esercizio di attività amatorie dalle quali sembrava essere molto attratto.

La reception della Digital era ubicata al piano terreno del palazzo, affacciandosi sul piazzale del parcheggio visitatori. Un'ampia vetrata isolava i due ambiti.

Appena sceso dall'ascensore, potei osservare attraverso il lungo corridoio, la solita ricorrente immagine: il Signor Tacchi, gomiti appoggiati sul bancone, sguardo trasognato, nell'atto di rompere le scatole alla Giusy.

- Buongiorno Signor Tacchi, come sta?
- Al piacere di rivederla, Signor Ceruti!

A questa sua strana frase di saluto, fece da accompagnamento il sospiro liberatorio della receptionist.

- Signor Ceruti, mi deve scusare, ma proprio non potevo salire da lei! Vede cosa le ho portato? la vede, lì nel parcheggio? Non potevo lasciarla incustodita; sa com'è, qui a Cinisello, basta un attimo, e te la soffiano da sotto il naso!

Guardai fuori della vetrata e, seguendo l'indicazione del suo braccio teso, la intercettai: Era una poderosa Ferrari Cinquecentododici Berlinetta Boxer, insolitamente nera come una notte di novilunio. Dodici cilindri racchiusi in un motore cinque volte più grande della mia Fiesta. Trecento all'ora. Gli estimatori la chiamavano la "BB".

- Caspita, Signor Tacchi, che bella! Andiamo, fuori a vederla, subito!
- Allora, pensai, non raccontava balle! Ce l'aveva davvero la Ferrari!

Mi precedette col baldanzoso passo di chi sta levitando sopra le acque del proprio orgoglio; spalancò le due portiere e ruotò all'indietro il gigantesco cofano motore. Quello che apparve richiese un’ ulteriore messa a fuoco delle pupille: di fronte a me, acquattato a pochi centimetri dall'asfalto, stava l'immenso monolito metallico del propulsore. Sopra di esso, come generose mammelle, poggiavano sei grossi carburatori, amorevolmente dediti al sostentamento. Ancor più in alto troneggiava l'immane scatola del filtro dell'aria. Ai due lati, dodici tubi di scappamento si contorcevano, avviluppandosi tra loro, come serpenti in amore. Mi occorsero altri dieci minuti buoni per enumerare, esplorare, e meravigliarmi di tutto l'insieme d’eccessi tecnologici che quel vaso di pandora mi stava riversando addosso.

- L'ho ritirata da Crepaldi proprio questa mattina per il tagliando, un milione e mezzo mi è costata!
(si parlava dell'inizio degli anni ottanta).
- salga su, signor Ceruti, che andiamo a farci un giretto.
- Giusy, se mi cercano, devi dire che sono dovuto assentarmi per mezz'ora, poi ritorno, ...forse.
- va bene

Feci per accomodarmi nel luogo ove la consapevolezza dei miei limiti mi aveva perentoriamente indicato: il sedile del passeggero.

- Ma cosa sta facendo! Li, mi siedo io; lei deve mettersi al posto di guida!

Eseguii l'ordine, serenamente e senza alcun’apprensione, confortato dalla certezza che dopo aver fatto spegnere il motore al primo tentativo di partenza, anche il Tacchi si sarebbe reso conto della mia inadeguatezza, restituendomi quel sedile ingiustamente usurpato.
Stetti pertanto al gioco.

- Si ricordi che tutte le marce sono capovolte sicché la prima si trova in basso a sinistra, e poi stia attento che ad ogni marcia c'è un settore ben definito entro il quale la leva deve inserirsi senza impuntamenti, altrimenti la marcia non entra. La chiave d’avviamento è a sinistra del volante.
- Va bene. Ma, almeno, basta la patente "B", o ci vuole altro? Pensai, sempre più umiliato dalla mia avvilente condizione umana.

Prima dell'inevitabile addio al volante diedi una rapida occhiata a quanto mi circondava: tutto l'interno era rivestito di pelle color beige, compresi gli unici due sedili disponibili.Subito dietro di essi iniziava la sala macchine. Pur con il condizionatore regolato al massimo, il calore interno era al limite della sopportazione.
Arrivò il momento di avviare il motore. Ormai non potevo più evitarmelo. Ruotai la chiave d’accensione, e sfiorai contemporaneamente l'acceleratore; quasi istantaneamente il drago si risvegliò con un sordo brontolio dalle tonalità talmente profonde da mandare in risonanza tutti gli organi interni ed esterni del mio corpo.
Ripassai mentalmente tutte le procedure successive: s’inserisce la prima (in basso, ricordati!), si rilascia la frizione, si accelera gradualmente,...si fa spegnere il motore, si sorride in maniera più ebete possibile al Tacchi, si lascia il sedile di guida, e infine si dice al Sacchi: guidi lei, che è meglio.

Purtroppo il destino crudele e beffardo cambiò tutte le carte in tavola ed il mostro si avviò, sorprendentemente per me, docile e progressivo.
Ormai la frittata era fatta e dovetti decidermi velocemente ad inserire le altre marce, prima che il sordo borbottio si trasformasse in un urlo terrificante.

- Signor Ceruti, giri a sinistra che andiamo a prendere la tangenziale
- Si.

Di nuovo prima, seconda, terza: "Diamine, sono già a centosessanta, si, ma in Fulvio Testi!...oh, Madonna!"
Pur trattandola con la stessa disinvoltura con la quale si accarezza la criniera di un leone affamato, mi sembrò che la macchina fosse del tutto assoggettata ai miei voleri. Forse in realtà si stava semplicemente assopendo. Azzardai anche qualche scalata di marcia con la "doppietta", facendo esclamare bugiardamente al Tacchi:- ma guarda il Signor Ceruti come ci sa fare!-.

Rientrammo al parcheggio ben oltre la mezz'ora preventivata. Scesi, anzi, direi meglio: salii dalla macchina con l’appagante consapevolezza di avere superato un difficile esame, ma contemporaneamente con il rimpianto di non aver potuto continuare ancora. Ci stavo prendendo gusto.

- Grazie davvero Signor Tacchi, per la sua gentilezza e per l'opportunità che mi ha offerto.
- Arrivederci, Signor Ceruti, e...si tenga pronto, che la prossima volta, si vola a Venezia!

Terminata la giornata, risalii sulla mia vecchia Fiesta, per il rientro. Pur nella modestia minimalista che essa poteva offrirmi, assaporai i suoi sedilini di velluto sintetico, impugnai il suo ossuto volante, ed inserii la prima finalmente al posto giusto. Mi sentii a casa, circondato dalla fintapelle color arancione dei suoi interni. Che bello volare a novanta in Fulvio Testi!

Ciò che più mi diede dispiacere fu l'udire qualche sommesso singhiozzo provenire dal motore durante il tragitto. Sarà stato forse l'odore di pelle che ancora profumava i miei abiti, ad indurla a sospettare del mio tradimento. D'altra parte quale uomo avrebbe mai potuto rinunciare a mezz'ora con la B.B., ma lei non avrebbe mai potuto capire.

 

NDR) Il viaggio a Venezia non fu mai fatto; dopo alcuni mesi, per sopravvenute esigenze economiche, il Signor Tacchi dovette dolorosamente separarsi dalla sua amata Ferrari.

Rinaldo
(13.04.2007)